...per capire chi era veramente una persona, cosa significava veramente la sua vita, chi parla per i morti dovrebbe spiegare la storia di sé - cosa intendeva fare, cosa ha effettivamente fatto, cosa si è pentito, cosa ha gioito. Questa è la storia che non conosciamo mai, la storia che non potremo mai sapere - eppure, al momento della morte, è l'unica storia che vale davvero la pena raccontare.
(...to understand who a person really was, what his or her life really meant, the speaker for the dead would have to explain their self-story–what they meant to do, what they actually did, what they regretted, what they rejoiced in. That's the story that we never know, the story that we never can know–and yet, at the time of death, it's the only story truly worth telling.)
In "Speaker for the Dead" di Orson Scott Card, la narrazione sottolinea la profondità di comprensione necessaria per cogliere la vera essenza di una persona e il significato della sua vita. Si presuppone che rivelare una storia di vita richieda non solo successi e fallimenti, ma un’esplorazione di intenzioni, rimpianti e gioie. Questa nozione evidenzia la complessità delle esperienze umane, suggerendo che la vera narrativa dietro l'esistenza di una persona spesso rimane nascosta agli altri.
Il testo suggerisce che, dopo la morte, ciò che conta veramente non è il racconto superficiale degli eventi, ma piuttosto la storia profonda e personale della propria vita. Questa narrazione personale comprende ciò per cui gli individui lottano, ciò che hanno ottenuto e lo spettro emotivo che hanno sperimentato durante i loro viaggi. Sottolinea che l'essenza ultima della vita e della morte risiede in queste storie non raccontate, rendendole inestimabili e straordinariamente significative.